Da Il Ticino del 16.7.2020
Una legge sull’omofobia? Sette domande e risposte
Cosa significa “omofobia” (e “transfobia”)?
Sono termini coniati per designare non solo atteggiamenti di avversione verso persone omosessuali (o transessuali), ma anche opinioni contrarie alle ideologie dei movimenti gay.
L’Italia è un paese “omofobo”?
No. I dati oggi disponibili dicono che sono rari gli episodi di discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale della persona (sono altre le categorie a rischio, come disabili, anziani, nascituri). Solo una minoranza della popolazione, ormai, considera immorali le relazioni “omoaffettive”. Inoltre, i movimenti gay godono di ampia visibilità sui mass-media. Le unioni civili sono, nella sostanza, un matrimonio tra persone omosessuali. La giurisprudenza ha riconosciuto la stepchild adoption.
Una legge contro l’omofobia non proteggerebbe meglio, comunque, le persone omosessuali?
No, esse sono protette, come tutte le persone, dalle norme che proibiscono e sanzionano ingiurie, diffamazioni, minacce, violenze, lesioni, ecc. Perché mai una persona con tendenza omosessuale dovrebbe essere più protetta delle altre, contro il principio di eguaglianza?
E allora a cosa servirebbe una legge sull’omofobia?
A punire le idee contrarie alle ideologie omosessualiste e gender, contro chi per esempio professi, secondo il Catechismo della Chiesa cattolica, che la sodomia è peccato, la tendenza omosessuale è disordinata, il matrimonio è il patto esclusivo tra un uomo e una donna, il bambino ha bisogno del papà e della mamma, l’utero in affitto è un abominio.
L’attuale progetto di legge in materia sarebbe idoneo a punire simili idee?
La proposta di legge attualmente alla Camera, di iniziativa dei parlamentari Boldrini, Scalfarotto, Zan e altri, punirebbe con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi… fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. Inoltre, punirebbe con la reclusione fino a sei anni chi partecipa, promuove o presiede associazioni aventi tra i propri scopi “l’incitamento alla discriminazione” per motivi “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.
In concreto, quali comportamenti verrebbero puniti?
Nel caso in cui il progetto divenisse legge, dipenderebbe dall’interpretazione dei giudici: vi è dunque un margine di incertezza, il che è già un problema, soprattutto in materia penale. Occorre considerare, comunque, che la giurisprudenza è molto sensibile alle rivendicazioni dei movimenti gay. Ecco qualche esempio di comportamento che, quantomeno, potrebbe dar luogo a un procedimento penale: il fedele che citi pubblicamente le parole di san Paolo di condanna degli atti omosessuali; il rettore che escluda dal seminario diocesano un seminarista gay; l’associazione che si prefigga l’obiettivo di giungere a costituzionalizzare il solo matrimonio tra uomo e donna; il pasticcere che per motivi di coscienza si rifiuti di confezionare una torta in occasione di una unione civile. Sono tutti casi che, secondo una certa interpretazione delle disposizioni citate, potrebbero configurare una discriminazione o un incitamento alla discriminazione per motivi fondati sull’orientamento sessuale.
Non è una prospettiva esagerata?
No: già oggi simili condotte espongono chi le commette a linciaggio mediatico. Lo psicologo Giancarlo Ricci, recentemente scomparso, ha affrontato un lungo procedimento disciplinare presso l’Ordine degli Psicologi della Lombardia per aver sostenuto, in televisione, come l’equilibrata crescita di un bambino richieda la compresenza paterna e materna. Il medico Silvana De Mari è stato deferito all’Ordine professionale per aver parlato delle conseguenze fisiche negative degli atti omoerotici. In Paesi esteri, dove già esistono norme repressive della c.d. omofobia, comportamenti come quelli esemplificati possono dar luogo a un processo penale, con tutti i rischi (e i costi) conseguenti.