lunedì 17 dicembre 2018

Radio Maria rilancia l'intervista a Gianna Jessen

Grazie a Padre Livio per aver letto l'intervista a Gianna Jessen (pubblicata nel post precedente) in una trasmissione di Radio Maria della mattina del 13 dicembre.
Qui l'audio, tratto dal sito di Radio Maria

Intervista a Gianna Jessen, sopravvissuta a un tentato aborto

Ho avuto la gioia di intervistare Gianna Jessen. L'intervista è stata pubblicata su La Nuova Bussola Quotidiana l'11.12.2018 (qui il link)

Gianna Jessen, viva dopo l'aborto: "Solo grazie a Gesù"

Gianna Jessen è personalità ormai nota a livello internazionale. La madre diciassettenne ha provato ad abortirla, ma lei è sopravvissuta. Non si stanca mai di raccontare la sua stessa storia, in tutto il mondo, perché è nel segno della speranza: la vita è più forte della morte e, in Gesù Cristo, ha la sua vittoria definitiva


Gianna Jessen è personalità così nota a livello internazionale che, ormai, paiono superflui i preamboli per raccontarne la storia. Ma non ci si stanca di riproporla e approfondirla, perché è nel segno della speranza: la vita è più forte della morte e, in Gesù Cristo, ha la sua vittoria definitiva.

Siamo a Los Angeles, nel 1977, quando i genitori biologici di Gianna, diciassettenni, decidono di essere troppo giovani per dare alla luce la creatura che hanno concepito. La madre si presenta così a una clinica abortista per praticare un aborto salino. Con esso, una sostanza viene iniettata nel grembo materno al fine di ustionare, soffocare e uccidere il bambino, destinato a essere partorito morto entro 24 ore. Gianna lotta per 18 ore nel ventre di sua madre e nasce viva alle ore 6 del 6 aprile, con un peso inferiore al chilogrammo. Il medico abortista di turno è assente, altrimenti non avrebbe esitato ad ovviare all’“inconveniente” strangolando o semplicemente gettando nei rifiuti la bambina. Gianna capita invece tra le mani di un'infermiera che la trasferisce in un ospedale, dove è collocata nell’incubatrice. E’ poi affidata alle cure di Penny, la sua futura nonna adottiva (morta cinque anni fa), nella cui casa-famiglia Gianna è accudita: “quanto ho amato Penny – dice Gianna – per tutto quello che ha dato a me e ad altri 56 orfani, che ha allevato da sola”. Nonostante le previsioni pessimistiche dei medici (“la bambina non potrà vivere a lungo; non potrà tenere sollevata la testa; non potrà camminare”, ecc.), Gianna cresce, pur con una paralisi cerebrale dovuta al tentato aborto, che si manifesta soprattutto nella ridotta mobilità degli arti inferiori.

Oggi Gianna gira il mondo per testimoniare la fede e la forza di Cristo e per promuovere la difesa della vita umana in ogni fase e condizione. La incontriamo a Pavia alla prima tappa del suo più recente tour di incontri in Italia, coordinati da Pro Vita onlus. Come è stato possibile salvarsi da un tentativo di aborto così aggressivo e crescere in questo modo? Gianna, di confessione evangelica, non ha dubbi: “è per il potere assoluto di Gesù Cristo, al quale nulla è impossibile”.

Che “prove” hai per dire che è stato Gesù Cristo in persona a salvarti?

Ho conosciuto Gesù a tre anni e ho subito compreso che Lui è tutto per me. Lo vedo, lo sento, avverto la Sua presenza a fianco a me ogni giorno. Per chi ha fede, non possono esservi dubbi, tanti sono i segni della Sua azione: non mi sono data la vita da sola, non avrei potuto camminare, non potrei fare tutto quello che faccio, se non grazie a Lui.

Pensi che Egli abbia voluto affidarti una missione particolare?

Sicuramente mi ha dato la missione di ridere, perché lo faccio sempre! In realtà, me ne ha date diverse, credo. Ma la missione principale resta quella di raccontare quello che Gesù ha fatto per me e, attraverso questo, predicare il Vangelo di Gesù Cristo. A che servirebbe lottare soltanto per un ideale, per una causa, fosse anche quella – che ritengo importante – di difendere la vita prenatale? Se non proclamassi Gesù Cristo, e non provassi a far capire a chi incontro che ciascuno è amato da Dio, non gioverebbe a nulla né a me né agli altri.

Hai mai incontrato la tua madre biologica? L’hai perdonata?

Potrà sembrare sciocco ciò che dico: mi è stato più facile perdonare la mia madre biologica di quanto non lo sia perdonare le persone con cui si ha a che fare tutti i giorni. E’ più difficile perdonare le persone quando vi abbiamo a che fare di frequente. Io, comunque, sono cristiana e cerco di esserlo davvero. Una sera, alla fine di un evento in cui raccontavo la mia vicenda, la mia madre biologica si presentò dinanzi a me, senza preavviso: “io sono tua madre”. Mi parve come se l’universo intero mi crollasse addosso. Invocai ripetutamente il Signore perché mi aiutasse. Risposi: “signora – non per disprezzo, ma per porre una giusta distanza – sono cristiana e io la perdono”. E lei: “non voglio il tuo perdono”. Disse così probabilmente perché, accettando il perdono, avrebbe dovuto riconoscere ciò che aveva fatto. Io ribadii che la perdonavo, ma ella iniziò a inveire contro di me. Al che, le confermai che la perdonavo, ma che non le permettevo di insultarmi. Me ne andai e quella sera piansi per ore. Non ci siamo più viste né sentite. Avevo compreso che il mio compito era perdonarla, ma che solo Gesù può salvarla.

Chi ti ha cresciuto? E come hai conosciuto la vicenda della tua nascita?

Fui affidata alle cure di Penny. Venni però adottata da sua figlia, per cui Penny divenne la mia nonna adottiva: facile da dire, ma fu complicato da vivere. A 12 anni – era il giorno di Natale – chiesi, per l’ennesima volta, alla mia madre adottiva le ragioni della mia disabilità. La mia insistenza denotava, evidentemente, l’inquietudine interiore che vivevo. Così mi fu raccontata la mia vicenda.

Nelle tue testimonianze affermi che la paralisi cerebrale è un modo con cui Dio ti ha protetto e tuttora ti protegge. Dunque, è un dono: e come può essere un dono una simile sofferenza?

Mi rendo conto che è difficile da comprendere se non si vive questa condizione. Molti parlano di Gesù, ma in maniera sdolcinata e irreale. Ma quando ti rendi conto che hai bisogno di Gesù per ogni singola cosa, anche solo per compiere un passo; quando capisci che dunque Lui è tutto per te e, rivolgendoti a Lui, sperimenti il Suo amore, allora afferri che anche la sofferenza è un dono. La mia vita certo non è facile. Ma non mi interessa una vita facile, desidero una vita straordinaria.

Ogni anno al mondo sono praticati oltre 50 milioni di aborti. Sono 50 milioni di bimbi non nati, generazioni stroncate, lavoratori che mancheranno alla società… E’ un genocidio, una catastrofe. L’aborto è legale quasi ovunque, seppure in misure diverse. Come si combatte tutto questo?

Con la preghiera, soprattutto; e una persona alla volta. Non si possono convincere le persone a non uccidere il proprio figlio soltanto con la logica, perché si tratta di una battaglia spirituale. Perché logicamente puoi vedere un bambino che si sviluppa nell’utero, ma questo argomento, evidentemente, nella pratica di per sé non è vincente.

Molti pro life ripongono speranze nell’operato del Presidente Donald Trump.

Apprezzo molto quanto sta facendo per la vita. Credo che, anche grazie ai nuovi giudici da lui nominati alla Corte Suprema degli Stati Uniti, si potrà quantomeno [ribaltando l’impostazione della storica sentenza Roe vs. Wade, ndr] riportare la questione dell’aborto legale dal livello federale alle scelte dei singoli stati.

Per organizzare eventi con Gianna Jessen, scrivi a
angie@giannajessen.com 

lunedì 10 dicembre 2018

Immigrazione e accoglienza degli stranieri: quale soluzione?

Qui il mio punto di vista, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, sulla questione della gestione dei flussi migratori. L'articolo è pubblicato sul numero di ottobre della rivista Servi della Sofferenza

martedì 4 dicembre 2018

Corte costituzionale e aiuto al suicidio: commento

Da Il Ticino, 30.11.2018

La Corte costituzionale e l’aiuto al suicidio

Ricapitolando: Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, dopo un grave incidente stradale diviene cieco e tetraplegico. Soffre per gli spasmi e le contrazioni da cui è percorso e necessita per vivere dell’idratazione, dell’alimentazione e, in parte, della ventilazione artificiale. Resta però capace di intendere e di volere. Falliti i tentativi terapeutici per migliorare la sua condizione, decide per il suicidio assistito presso un ente svizzero. Ad accompagnarlo è il sig. Marco Cappato, che è perciò imputato per il reato di aiuto al suicidio (art. 580 del codice penale). Il Tribunale di Milano, tuttavia, dubita che la norma sia costituzionalmente legittima e rimette la questione alla Corte costituzionale. Con ordinanza depositata di recente, la Corte accoglie in parte gli argomenti del Tribunale.
L’ordinanza comincia bene: è riconosciuto a livello nazionale e internazionale il diritto alla vita e non alla morte e, dunque, nemmeno a essere aiutati a morire. Poi però la Corte sterza e, contraddicendosi, deraglia. Il sig. Antoniani, dice il giudice costituzionale, avrebbe potuto avvalersi della legge sul fine vita (n. 219 del 2017): essa già permette, a costo della morte, di interrompere ogni terapia e i sostegni vitali, anche se del caso obbligando il medico a cooperare attivamente. E comunque beneficiando della sedazione palliativa profonda continua per attenuare il dolore.
Con ciò, in sostanza, la Corte ammette quello che i commentatori più schietti avevano da subito colto (al contrario di quelli, specie tra i cattolici, che fingevano di non vedere): che, cioè, la legge n. 219 del 2017 ha introdotto l’eutanasia in Italia. Quello che questa legge però non concede è il diritto a un farmaco letale che uccida in tempi più brevi.
La cultura della morte ha una sua logica e la Corte ne trae le conseguenze. Se ho diritto a morire di fame e di sete, perché, a questo punto, non dovrei avere diritto a una morte più rapida e “dignitosa”? La Corte ritiene che questa limitazione sia ingiustificata e incostituzionale. Occorre dunque che il Parlamento entro un anno (sorvoliamo qui sulla libertà di procedura che la Corte si è presa per l’occasione) riconosca il diritto a essere soppressi, ma “solo”: a) nell’ambito della relazione medico-paziente; b) per i malati inguaribili; c) che soffrano a un livello che ritengono intollerabile; d) che siano sottoposti a trattamenti di sostegno vitale; e) ma siano in grado di decidere autonomamente.
Che fare? La Corte ha sfidato il Parlamento. Ora, esso risponda alla sfida con provvedimenti che, al contrario, tutelino il diritto alla vita – fondamentale e indisponibile – in ogni sua fase e condizione.

Marco Ferraresi