Covid 19 e libertà di culto: qualcosa non torna
Domenica 1 marzo: don Antonio Lunghi, parroco di Castello d’Agogna, celebra Messa dinanzi a una decina di fedeli e viene denunciato alla Procura della Repubblica. Domenica 19 aprile: don Lino Viola, parroco di Soncino, celebra Messa dinanzi a tredici fedeli e viene sanzionato per 680 euro (280 euro, invece, per ogni fedele). L’elenco potrebbe continuare: i casi sono nell’ordine delle decine. Le sanzioni sono motivate dalla presunta violazione delle restrizioni imposte dal governo a causa dell’emergenza sanitaria in corso. In più casi, le celebrazioni sono state interrotte dall’intervento degli agenti di pubblica sicurezza.
Commentare le norme amministrative richiederebbe tempo. Quel che è certo, è che dei divieti si è data una interpretazione restrittiva per la libertà di culto. Ritengo poi che, essendo in violazione di diritti fondamentali, come la libera espressione della fede cattolica, si tratti di norme illegittime. Sono altresì persuaso che l’intervento di polizia in un luogo sacro e durante una celebrazione, oltre che un atto sacrilego, sia penalmente illecito. Anche perché - secondo le norme vigenti tra Italia e Santa Sede - la forza pubblica non può entrare per l’esercizio delle sue funzioni negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso all’autorità ecclesiastica.
Che uno Stato, che mette la mano nel grembo materno per sopprimere la vita nascente, la ponga anche sulla Santa Messa, purtroppo non può stupire; e che si consideri l’esercizio pubblico della fede una occasione di contagio più pericolosa dell’ingresso nei supermercati, è pure coerente con il clima culturale in cui viviamo.
Quello che stupisce è piuttosto l’atteggiamento di “casa nostra”. Si è data sin dall’inizio una lettura rigida dei divieti a scopi sanitari, sospendendo tutte le celebrazioni e in qualche caso chiudendo gli edifici di culto. Ma nemmeno sono stati difesi i sacerdoti sanzionati: nel caso di don Lino, il parroco è stato anzi pubblicamente rimproverato dalla curia, che ha ritenuto il suo comportamento “in contraddizione con le norme civili e le indicazioni canoniche”.
Consentire allo Stato di disciplinare a propria immagine e somiglianza il culto divino è un errore grave e costituisce un precedente pericoloso per la libertà futura dei cattolici.
Marco Ferraresi