(da Il Ticino, 13.12.2019)
Il 29 novembre Papa Francesco ha incontrato i giuristi del Centro Studi Livatino in occasione del convegno nazionale dell’associazione, sul tema “Magistratura in crisi - Percorsi per ritrovare la giustizia”. Il Santo Padre ha preso spunto dall’evento per cogliere due aspetti, tra loro collegati, della crisi del potere giudiziario e del ruolo del giudice. Lo ha fatto ispirandosi al fulgido esempio del magistrato Rosario Angelo Livatino (1952-1990), vittima della mafia che combatteva nella sua professione. Giovanni Paolo II lo ha definito «martire della giustizia e indirettamente della fede».
Un primo elemento di crisi della giustizia concerne la difesa della vita umana. Il Papa cita in proposito le parole di Livatino contro l’eutanasia, che lucidamente affermava in una conferenza: «Se l’opposizione del credente a questa legge si fonda sulla convinzione che la vita umana […] è dono divino che all’uomo non è lecito soffocare o interrompere, altrettanto motivata è l’opposizione del non credente che si fonda sulla convinzione che la vita sia tutelata dal diritto naturale, che nessun diritto positivo può violare o contraddire, dal momento che essa appartiene alla sfera dei beni “indisponibili”, che né i singoli né la collettività possono aggredire». Francesco stigmatizza perciò quelle sentenze «per le quali l’interesse principale di una persona disabile o anziana sarebbe quello di morire e non di essere curato». Così, prosegue il Papa, i giudici «inventano un “diritto di morire” privo di qualsiasi fondamento giuridico, e in questo modo affievoliscono gli sforzi per lenire il dolore e non abbandonare a sé stessa la persona che si avvia a concludere la propria esistenza».
Il secondo elemento di crisi attiene a quella superbia giudiziale che elude la soggezione del giudice alla legge, come se il potere di porre le norme regolatrici della vita sociale spettasse alla magistratura piuttosto che al parlamento investito dalla sovranità popolare. E come se al potere giudiziario fosse, anzi, attribuito il ruolo di correggere le scelte democratiche pretendendo di rieducare il popolo a nuovi valori, promossi per sentenza. Afferma il Papa che, sotto questo profilo, Livatino ha colto «i segni di quel che sarebbe emerso con maggiore evidenza nei decenni seguenti, non soltanto in Italia, cioè la giustificazione dello sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie dei cosiddetti “nuovi diritti”, con sentenze che sembrano preoccupate di esaudire desideri sempre nuovi, disancorati da ogni limite oggettivo».
Marco Ferraresi