(da Il Ticino, 28 marzo 2024)
Le Regioni dinanzi al
suicidio assistito
Come accade in tutti gli
ordinamenti, le deroghe ai principi non negoziabili instaurano un piano
inclinato, su cui i diritti fondamentali subiscono progressivi indebolimenti.
E’ quanto sta accadendo anche in tema di suicidio assistito, parzialmente
legittimato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 242/2019 e ora sempre
più rivendicato anche al di fuori delle condizioni stabilite dalla Corte.
Questa ha invitato il Parlamento
a legiferare in materia, ma al momento una disciplina nazionale non sussiste.
Tuttavia, in sede locale, si è ritenuto di dover supplire a simile mancanza.
Così, dapprima, si è avuta notizia dell’aiuto al suicidio di “Anna” in Friuli
Venezia Giulia, affetta da sclerosi e soppressa con l’ausilio del Ssn. Poi,
alcune Regioni hanno avviato percorsi normativi per darsi una normativa.
Così in Veneto, dove tuttavia una
proposta di legge non ha raggiunto la maggioranza necessaria; così in
Lombardia, dove analoga proposta è in fase di discussione; così in Emilia, dove
lo scorso mese la Giunta – persino snobbando il Consiglio regionale – ha
direttamente adottato deliberazioni finalizzate a garantire il suicidio
medicalmente assistito.
Ma un nutrito gruppo di
associazioni ha depositato ricorso al Tribunale amministrativo regionale per
ottenere l’annullamento di tali atti. Si tratta di enti anche importanti, come
il Centro Studi Livatino, il Movimento per la Vita, il Forum delle Associazioni
Familiari, l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, le Unioni Giuristi
Cattolici di Piacenza, Reggio Emilia e Pavia, l’Associazione Medici Cattolici
Italiani, e altre ancora.
Con solidi argomenti giuridici,
queste associazioni, oltre a denunciare la gravità di una normativa che comprime
il diritto alla vita specie nelle sue fasi più deboli e bisognose di
protezione, hanno evidenziato sotto plurimi profili l’incompetenza delle
Regioni in ambiti costituzionalmente riservati allo Stato.
Marco Ferraresi