da Il Ticino, 25.3.2022
Eutanasia: io (non) sono mio
Si è di recente tenuto in
Università un interessante dibattito giuridico sul “fine vita”. Secondo un
relatore, è giusto riconoscere il diritto a essere soppressi, perché “io sono
mio”: se io non fossi mio, vorrebbe dire che sarei dello Stato o della Chiesa o
del partito, ecc. Quindi, sarei obbligato a vivere per loro volontà e la mia
libertà non avrebbe senso: nessuno dovrebbe decidere della “mia” vita, se non “io”.
E’ un ragionamento noto, ma
debole. Altri relatori hanno infatti variamente replicato. Anzitutto, il solo
che potrebbe dire di una vita “è mia”, questi è Dio, in quanto autore e creatore
di tutto ciò che esiste. Dovremmo piuttosto dire che ciascuno appartiene al
Signore dell’universo ed è responsabile nei suoi confronti.
In secondo luogo, dire “io sono
mio” significa trattare se stessi come un oggetto. Ma un essere umano è un
soggetto, non una cosa. Dire “io sono mio” significa svilire la propria
dignità. Nemmeno Dio, a cui apparteniamo, ci tratta come cose: anzi, ci ha
fatti persone, a sua immagine e somiglianza.
In terzo luogo, se non siamo
oggetti, siamo esseri che si relazionano, legati ad altri soggetti. L’io non è
un’isola: alla base della nostra esistenza ci sono almeno due fondamentali
relazioni, quella con Dio creatore e con mamma e papà che hanno generato.
Ognuno è fatto di relazioni. E il principio che conserva le relazioni umane è
la solidarietà, che è cura – e mai distruzione – di noi stessi per gli altri e
degli altri per noi stessi. Dovremmo semmai dire: “io non sono solo mio”.
In quarto luogo, l’eutanasia è
una clamorosa contraddizione: con la pretesa “io sono mio” si arriva a
distruggere se stessi. Il diritto arriva così a distruggere il detentore dei
diritti e tutti i diritti posseduti.
Da ultimo, in un ordinamento giuridico vi sono tanti beni notoriamente “indisponibili”: non posso obbligarmi a interessi usurari, non posso rinunciare ai miei diritti fondamentali di lavoratore, non posso distruggere un bene (anche se mio) quando è di interesse culturale, ecc. Possibile mai che la vita – bene alla base di tutti gli altri – sia invece “disponibile”?
Marco Ferraresi