Indi Gregory (il Ticino, 16.11.2023)
Nel momento in cui queste righe sono consegnate, la piccola Indi Gregory è in un hospice del Regno Unito, privata dei supporti vitali per decisione del giudice locale che, accogliendo le tesi del personale medico che l’ha avuta in carico, ritiene come il miglior interesse per la bambina sia l’accompagnamento alla morte.
Si badi. Non si tratta della mera indisponibilità del sistema sanitario a protrarre le cure già praticate e di rifiutarne di sperimentali. Nella fattispecie – come purtroppo in analoghe vicende degli ultimi anni nel medesimo Paese – si è persino negata ai genitori la possibilità di tentare altre terapie, offerte da un qualificato ospedale italiano. In definitiva, seppure sia crudo da affermare, si è sancito un obbligo di morte per Indi, ritenendo che la sua disabilità (indubbiamente grave) renda la vita non degna di essere vissuta.
Il governo italiano ha meritoriamente conferito alla piccola la cittadinanza e il console italiano, quale curatore speciale, anche appoggiandosi sulla Convenzione dell’Aja per la protezione dei minori, ha tentato – invano – di ottenere dalle autorità locali il suo trasferimento nel nostro Paese.
Colpiscono, poi, altre circostanze. Secondo alcuni, la paziente starebbe subendo un accanimento terapeutico. Ma non si comprende in cosa consista: i supporti respiratori producono l’effetto di mantenere Indi in vita, senza particolare complicanze, per cui è impossibile argomentare che determinino svantaggi sproporzionati rispetto ai benefici.
Inoltre, sorprende il linguaggio approssimativo utilizzato anche dalla stampa italiana. La bambina sarebbe ormai “incurabile” e, per questo, non dovrebbe più ricevere alcun trattamento sanitario. Ma si potrà dire, al più, che la sua malattia sia “inguaribile”, mentre non esistono persone che non possano essere curate, sebbene il decorso della malattia non possa risolversi positivamente.
Come ha affermato il Vescovo Corrado, “non vogliamo essere complici e corresponsabili della morte di Indi con il nostro silenzio e la nostra indifferenza”. La battaglia per la cultura della vita, contro quella di morte, richiede un maggiore impegno di preghiera e azione civile da parte di credenti e persone di buona volontà.
Marco Ferraresi