sabato 31 luglio 2021

L'enciclica "Centesimus Annus", 30 anni dopo

 Da il Ticino, 16 luglio 2021

L’enciclica Centesimus Annus, 30 anni dopo

Il trentesimo anniversario dell’enciclica Centesimus Annus (CA) di san Giovanni Paolo II, datata 1 maggio 1991, costituisce l’occasione per riflettere nuovamente su un documento di Magistero di speciale attualità. Come denota il titolo, l’enciclica commemora il centenario della preziosa Rerum Novarum di Leone XIII, comunemente ritenuta fondativa della moderna Dottrina sociale della Chiesa.

Il principale merito di CA, probabilmente, è di avere inquadrato la questione sociale, precipuo oggetto di Rerum Novarum, in una più ampia e decisiva questione antropologica (ossia inerente alla vera identità dell’essere umano) e morale (relativa cioè alla conoscenza di ciò che è bene e giusto, senza errore). Le tematiche relative all’ordine opportuno delle relazioni economiche e di lavoro e al più confacente assetto politico e istituzionale di una società, secondo CA, sono in ultima istanza non di mera tecnica, ma di riconoscimento dei diritti di Dio sulla creazione, con la dovuta obbedienza alla legge divina e naturale.

Una visione puramente immanente del diritto, del potere, dello Stato, non è infatti in grado di darsi, da sé, alcun fondamento, che non sia frutto di opzioni arbitrarie e di “volontà di potenza”. Quando si neghi la trascendenza dell’autorità – cioè la soggezione della potestà umana a quella divina – le stesse forme di Stato e di governo si arrogano prerogative religiose, con aspirazioni assolutistiche anche se epidermicamente democratiche.

Chiunque legga senza pregiudizio gli eventi della storia, anche contemporanea, si rende conto della vanità di un ordine politico e giuridico senza Dio. Infatti, come ricorda l’enciclica commentando la caduta dei regimi comunisti in Europa, “gli avvenimenti dell’’89 offrono l’esempio del successo della volontà di negoziato e dello spirito evangelico contro un avversario deciso a non lasciarsi vincolare da principi morali: essi sono un monito per quanti, in nome del realismo politico, vogliono bandire dall’arena politica il diritto e la morale” (n. 25).

Marco Ferraresi